RSF: “l’informazione in Libia è un buco nero”

“La Libia è un buco nero informativo. La maggior parte dei media e dei giornalisti sono fuggiti dal paese. Coloro che rimangono cercano di garantire la propria sicurezza lavorando sotto la protezione di una delle parti in guerra. I giornalisti stranieri non possono più coprire gli eventi. I media tradizionali, dopo essersi schierati nel conflitto, non possono più svolgere il ruolo di garantire un’informazione libera, indipendente ed equilibrata che rifletta i problemi reali della società, in particolare le aspirazioni dei giovani. I giovani si rivolgono ai social network per uno spazio di dialogo aperto, ma quello spazio è anche favorevole alla radicalizzazione e alla diffusione dell’incitamento all’odio. Tuttavia, una serie di iniziative mira ad adottare un modello di media più indipendente”. Lo afferma Reporters Sans Frontiers (RSF) nel suo ultimo rapporto.
“Dopo un decennio di conflitto armato che fa pensare a una guerra civile di fondo, nel marzo 2021 è stato firmato un cessate il fuoco, sotto la supervisione delle Nazioni Unite, tra i sostenitori dell’ex governo di unità nazionale di Tripoli e le truppe del maresciallo Khalifa Haftar. L’uomo d’affari Abdul Hamid Dbeibah è stato nominato capo del governo unificato libico, incaricato di guidare il paese alle sue prime elezioni generali. Tuttavia, la data di votazione continua a essere rinviata. I giornalisti, da parte loro, sono spesso costretti ad adattarsi ai pregiudizi dei media per cui lavorano, che generano un ambiente di disinformazione cronica. Anche la corruzione è diffusa. Nell’est del paese, i giornalisti sono sotto il potere di Haftar e nessun media può criticare i militari”. Prosegue l’organizzazione.
RSF aggiunge che “nessuna agenzia di regolamentazione o legge quadro garantisce l’accesso alle informazioni, né il rispetto del pluralismo e della trasparenza dei media. Nessuna legge garantisce la libertà di espressione, la sicurezza dei giornalisti né il diritto a informazioni attendibili. Alcune leggi in vigore sulla libertà di espressione hanno più di 50 anni. I reati di stampa sono soggetti a pene detentive”.
“Il finanziamento dei media dipende dagli introiti pubblicitari delle imprese gestite da uomini d’affari vicini ai potenti politici. La collusione politico-mediatica, così come la non trasparenza dei contratti pubblicitari, mettono a repentaglio l’indipendenza dei media e dei giornalisti. Questi ultimi lavorano in condizioni di estrema precarietà, soggetti a licenziamento arbitrario a discrezione dei datori di lavoro”. Prosegue il rapporto, aggiungendo che in Libia “igiornalisti sono stati per anni oggetto di intimidazioni, molestie e violenze fisiche, anche se la situazione sembra essere migliorata nel 2021. La frequenza delle aggressioni ai giornalisti deriva dalla completa impunità degli aggressori. Le milizie minacciano regolarmente i giornalisti, che possono essere attaccati e vengono regolarmente incarcerati”.