Quell’ultima carezza di Kawthar, gli sfollati di Murzuq sperano che il nuovo Governo non lasci morire la verità

Di Vanessa Tomassini.

“Kawthar aveva quattro anni e suo fratello Osama, solamente sei. Eravamo in casa quando un razzo è caduto su di noi. Il piccolo Osama è morto sul colpo. Kawthar, in ospedale, dopo un intervento d’emergenza di sei ore. Ci sono volute ore anche per raggiungere un ospedale per evitare cecchini e posti di blocco di bande senza scrupoli”. Racconta suo papà, Mohamed Juma Al-Senoussi Jadram, protagonista della carezza più emozionante che un padre possa ricevere dalla propria figlia. Un gesto che mostra tutta la purezza dei bambini.  Quel maledetto giorno Kawthar non sapeva che sarebbe stato l’ultimo. Non immaginava che in Libia, si potesse morire pure nel suo nido con mamma Zinab, papà Mohamed e Osama. Desiderava una bambola che il padre gli avrebbe regalato il giorno dell’Eid. Sognava uno zainetto per andare all’asilo, matite e colori pastello come la maggior parte dei bambini della sua età. Non le avevano detto che il mostro della guerra le avrebbe portato via i sogni, i giochi, il futuro, il canto degli uccelli, il sorriso di mamma e papà. Il suo ultimo gesto è stato tendere la manina per asciugare le lacrime del papà, che insieme alla mamma e ai dottori, gli è rimasto accanto mentre il dolore straziante l’assediava in quel letto di ospedale nel sud della Libia.

La sua famiglia ora vive ad Ubari, ha dovuto lasciare tutto. Sono oltre 40.500 gli sfollati fuggiti da Murzuq. Dopo che il pericolo della guerra è passato, nessuno parla più di Murzuq. Nessun Governo se ne è occupato se non a parole, ed anche all’LNA sembra non interessi più molto che quei cittadini – che l’hanno benvenuto – possano far ritorno a casa in sicurezza. È l’orrore della politica. A Murzuq hanno tenuto anche le elezioni municipali, peccato che la maggior parte degli abitanti non ha potuto votare. Il fascicolo dei rifugiati è una delle priorità per il nuovo esecutivo. Oggi, in cui la parola d’ordine è riconciliazione, si può dimenticare il passato senza giustizia? È possibile perdonare senza che venga accertata la verità? O è anch’essa morta in Libia? A Murzuq centinaia di persone sono state uccise, gli sfollati raccontano che almeno 25 anziani sono stati catturati dai Tebu, che a loro volta chiedono vengano rilasciati i loro prigionieri. Ma il dubbio è atroce: “forse sono stati uccisi dalle truppe di Haftar”. È una crisi tanto difficile da raccontare, quanto da risolvere. Il nuovo esecutivo dovrebbe istituire un comitato per accertare i fatti e ricucire il tessuto sociale lacerato dal prolungato conflitto. Ma dimenticare è impossibile.

Dall’inizio del 2019, le tensioni all’interno della città libica di Murzuq sono diventate progressivamente più gravi, portando a numerosi focolai di violenza. Il conflitto si intensificò a livelli senza precedenti a partire dal 4 agosto 2019, quando una serie di attacchi aerei da parte del Libyan National Army (LNA) di Khalifa Haftar ha scatenato pesanti combattimenti urbani e sfollamenti di massa. Le famiglie sfollate che abbiamo incontrato affermano che “quando l’LNA è entrato a Murzuq, è stato accolto da una massa in festa. L’esercito è rimasto in città circa quindici giorni per poi ritirarsi. Forse i Tebu hanno pensato che fossimo stati noi a colpirli”. Il conflitto si è leggermente attenuato sollo a fine agosto 2019, quando oltre il 60% della popolazione di Murzuq era fuggita trovando rifugio nelle città in tutta la Libia, lasciando solo pochi residenti in alcune aree della città meridionale. Alcune agenzie umanitarie ed organizzazioni non governative hanno descritto gli incidenti nel piccolo centro meridionale come una questione tribale, tuttavia i residenti affermano che anche alcune famiglie Tebu sono fuggite dalla città durante la violenza, spaventati dalle bande di ribelli dal Chad che arrivavano come onde di barbari. Gli sfollati interni di Murzuq accusano queste milizie armate di assassinii, rapimenti e gravi abusi, tra cui furti, rapine, percosse, discriminazione etnica e limitazione dell’accesso a cibo e riparo. Gli sfollati affermano che oggi tornare a casa è impossibile perchè la paura, la mancanza di fiducia e le condizioni di sicurezza non lo consentono.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: