CPI: “ricorso presentato da Gheddafi è sotto giudizio, monitoriamo condotta criminale dei gruppi armati in Libia”

Di Vanessa Tomassini.

Venerdì 2 novembre la Corte Penale Internazionale (CPI) ha fatto il punto sulla situazione in Libia al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Nel suo discorso il procuratore generale della CPI, Fatou Bensouda, ha ricordato che, nel giugno del 2011, la Camera preliminare della Corte ha emesso un mandato di arresto nei confronti di Saif al-Islam Gheddafi per i crimini contro l’umanità di omicidio e persecuzione. “Questo mandato di arresto è stato emesso in relazione al contributo di Gheddafi, di fatto primo ministro della Libia- ha affermato il procuratore – ad un piano comune per scoraggiare e reprimere, con ogni mezzo, le manifestazioni contro il governo di Muammar Gheddafi nel 2011”.

Lo scorso 5 giugno di quest’anno, il delfino libico ha presentato un ricorso di ammissibilità sostenendo che il suo caso è inammissibile di fronte alla CPI. “È significativo che, nel suo ricorso, il signor Gheddafi afferma che intorno al 12 di aprile 2016, è stato liberato dalla custodia del Battaglione Abu-Bakr al-Siddiq di Zintan, in virtù di una legge di amnistia”.  Saif al-Islam Gheddafi sostiene che “in conseguenza del procedimento interno condotto contro di lui in Libia, non può essere processato presso la CPI”. Malgrado lo Statuto di Roma preveda che nessun cittadino può essere processato due volte per lo stesso reato, il procuratore sostiene che “per le ragioni esposte nella mia risposta scritta a questo ricorso di irricevibilità, depositata il 28 settembre 2018,  il caso Gheddafi rimane ammissibile dinanzi alla Corte. La mia sedicesima relazione, trasmessa al Consiglio due settimane fa, delinea brevemente le mie osservazioni”.

Sebbene l’ufficio del procuratore sostenga che Gheddafi debba essere arrestato e consegnato alla Corte, “questo ricorso – afferma il procuratore Bensouda – è ora sub judice (sotto giudizio) e la Camera preliminare prenderà una decisione a tempo debito”. Passando alle indagini in corso, Bensouda ha dichiarato che la Corte continua a monitorare la condotta dei membri di gruppi armati in Libia i cui presunti atti criminali potrebbero rientrare nella giurisdizione della Corte. Ha poi spiegato che “i gruppi armati usano la violenza per esercitare il controllo sulle istituzioni statali, commettere gravi violazioni dei diritti umani ed abusare e sfruttare i detenuti nelle carceri non regolamentate e nei luoghi di detenzione in tutto il paese”. Secondo la CPI, “questi gruppi armati rappresentano una grave minaccia per la pace e la stabilità a lungo termine in Libia. Non limitiamo le nostre indagini a nessun gruppo; guardiamo ai presunti crimini dello Statuto di Roma commessi da attori in tutto il territorio della Libia”.

Il procuratore resta inoltre concentrato sui presunti crimini dello Statuto di Roma commessi contro i migranti che transitano attraverso la Libia. I viaggi in cui queste persone si imbarcano possono trasformarsi rapidamente in veri e propri scenari da incubo dove diventano vittime dei lati più oscuri della natura umana; dove vengono depredati senza pietà, e le loro vulnerabilità sfruttate senza alcun riguardo per la decenza o lo stato di diritto. “Il mio ufficio continua a ricevere prove di gravi crimini commessi contro i migranti in Libia”. Ha sottolineato, osservando che questi presunti crimini includono uccisioni, violenze sessuali, torture e schiavitù. Bensouda ha poi ricordato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la necessità, per fermare tali orrori, che anche le reti criminali operanti al di fuori della Libia vengano perseguite.

Infine, il procuratore ha ribadito il mandato di arresto e di consegna alla corte per Gheddafi che “è in libertà e, nonostante la sua auto-denuncia di rilascio da parte sua più di due anni fa, non ha mostrato alcuna intenzione di consegnarsi alla Corte o alle autorità competenti in Libia”, per Al-Tuhamy Mohamed Khaled, ex capo dell’Agenzia per la sicurezza interna libica, e per Mahmoud Mustafa Al-Busayf Werfalli, comandante della Brigata Al-Saiqa operante in ed intorno a Bengasi sotto l’egida del maresciallo Khalifa Haftar. Il procuratore ha inoltre constatato che “se i latitanti della CPI sono autorizzati a rimanere in libertà e in assenza di un’effettiva assunzione di responsabilità per crimini atroci, l’impunità continuerà a regnare in Libia, causando maggiore sofferenza ed instabilità”. E’ opportuno ricordare che la Libia non ha mai aderito allo Statuto di Roma, tuttavia, il 26 febbraio 2011, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha deferito all’unanimità la situazione in Libia dal 15 febbraio 2011 alla CPI nella risoluzione 1970 (2011). Da quel momento, la CPI può esercitare la propria giurisdizione sui crimini elencati nello Statuto di Roma commessi sul territorio della Libia o dai suoi cittadini.

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