La situazione vista dalla CPI. Ne parliamo col portavoce Fadi el-Abdallah

a cura di Vanessa Tomassini – 

La Corte Penale Internazionale ha un mandato specifico riguardo alla Libia, che si basa sul rinvio dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite alla corte che autorizza l’ufficio del procuratore ad investigare su ciò che accade nel paese. E’ l’ufficio del procuratore a condurre ufficialmente le proprie indagini, riferendo al Consiglio due volte l’anno attraverso un report pubblico. Il rapporto riferisce delle situazioni su cui si focalizza l’attenzione del procuratore, quali progressi ci sono o meno in alcune aree, quali sono i temi che il procuratore vorrebbe approfondire con il Consiglio di Sicurezza. L’ufficio del procuratore riceve le informazioni da tutte parti, associazioni, agenzie Onu, senza essere legato a queste; esso deve condurre le sue indagini e trovare evidenze che possano essere presentate davanti ai giudici. Quando parli con diversi comitati, o associazioni, o Ong loro hanno differenti punti di vista e spesso giungono a conclusioni differenti, per questo è fondamentale che questo organo arrivi davanti ai giudici con delle prove unanimi, solide”. Ci spiega così Fadi El Abdallah il ruolo della Corte Penale Internazionale (Cpi) nella crisi libica, mentre sorseggiamo un tè nell’edificio super blindato della giustizia internazionale all’Aia. Per circa un’ora il portavoce e capo dell’unità “public affairs” della Cpi risponde a tutte le domande sulla situazione del paese nordafricano per cercare di chiarire alcune questioni.

– Da tutte queste informazioni che vi arrivano come vede la Cpi le prossime elezioni?
La sua è una domanda davvero interessante, tuttavia la Cpi ha solo un mandato giuridico e non funzioni politiche. Anche se agiamo in un contesto di guerra, la sfera della giustizia deve rimanere protetta e indipendente dalla politica. Così la Corte non può rilasciare dichiarazioni politiche, né essere a favore o contro nessuno, perché anche gli accusati godono della presunzione di innocenza. Noi possiamo parlare solamente in luce dello Satuto di Roma, o per le decisioni dei giudici”.

Visto che la sfera giuridica non intacca quella politica, se Saif al-Islam Muammar Gheddafi dovesse vincere le elezioni cosa accadrebbe?
Per la Cpi non cambierebbe nulla e si troverebbe nella stessa situazione, in quanto la corte ha emesso un mandato di arresto per il signor Gheddafi e noi continuiamo a chiedere che si arrenda e si consegni. Il procuratore ha ribadito ciò al Consiglio di Sicurezza, chiedendo di aiutare le autorità libiche affinché collaborino meglio e rispettino l’ordine emesso dai giudici. La situazione politica del sospettato non intacca minimamente il caso di fronte alla Cpi. Noi abbiamo diversi casi riguardanti capi di stato o ex primi ministri o vicepresidenti ed abbiamo un caso simile anche in Kenya, dove il sospettato ha vinto le elezioni dopo che il procedimento era iniziato. Nella fattispecie non era stato emesso un mandato di arresto, ma solo un ordine di comparizione di fronte alla corte. La carriera politica di un indagato dalla Cpi non influisce in alcun modo sulla natura del giudizio che prosegue esattamente allo stesso modo. Inoltre, va precisato che il signor Gheddafi non è stato condannato, e soprattutto è innocente fino a prova contraria”.

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 Quindi se lui si presenterà…
“Se lui si presenterà avremo modo di capire se è colpevole o innocente. Per noi è presumibilmente innocente, ma è necessario che i giudici lo stabiliscano dopo i giusti procedimenti”.

 Certo è innocente però intanto su di lui e la sua famiglia è stato imposto un divieto di viaggio, gli assetti finanziari sono stati congelati. Perché dovrebbe presentarsi?
Perché non abbiamo il procedimento in absentia del sospettato. Lui dovrebbe venire e far valere la sua versione dei fatti, ha diritto di scegliere i suoi difensori; deve presentare le sue contro-investigazioni di fronte ai giudici della CPI. Se lui non è presente come possiamo stabilire la verità? Se lui fosse colpevole come possiamo essere sicuri che non compirà altri crimini di guerra, come possiamo essere sicuri che rispetterà la sentenza? Per questo è necessaria averlo qui, per fare in modo che il procedimento prosegua. Noi abbiamo casi dove il sospettato non necessita dell’arresto ma solo della sua comparizione davanti alla Corte e la persona viene e al termine dell’udienza ritorna nel suo Paese. Questa è una possibilità. Sul Signor Gheddafi pende un mandato di arresto e non un ordine di comparizione al momento, perciò è necessario in primis che venga arrestato poi il suo avvocato difensore potrà richiedere alla CPI misure intermedie, così da essere non in detenzione, ma sotto certe restrizioni. Richiesta che potrà essere accettata o meno dai giudici”.

 Mettiamo caso che il sospettato vinca le elezioni e non si presenti dinanzi alla corte, cosa può fare la Cpi?
Un’altra ottima domanda. La Cpi non può arrestare le persone. La Cpi è una corte che funziona esattamente come nel sistema giudiziario nazionale: c’è l’ordine del tribunale e poi le forze di polizia che hanno il compito di eseguirlo.
Per il diritto internazionale, noi siamo il tribunale e la polizia è rappresentata dagli 
stati partner che hanno il compito di eseguire l’ordine della Cpi. Questi sono i due pilastri del diritto internazionale, noi non abbiamo forze militari per andare ad arrestare qualcuno. Come corte possiamo emettere gli ordini verso quelle persone che devono rispettare il mandato d’arresto, questi sono gli stati che hanno l’obbligo di collaborare e le persone a cui è rivolto il mandato d’arresto. Cosa possiamo fare se gli stati non rispettano i loro doveri? Noi guardiamo il caso, se questo arriva direttamente dal Consiglio di Sicurezza – come nel caso la Libia che ha l’obbligo di collaborare, ma non lo sta facendo – questo comporta una violazione della Risoluzione delle Nazioni Unite e pertanto è il Consiglio di Sicurezza a stabilire cosa è necessario fare. Se invece il caso non arriva dal Consiglio Onu, allora noi richiediamo un’assemblea dei 123 paesi che aderiscono allo Statuto di Roma le misure da adottare nei confronti di quello che non rispetta la legge. Quindi spetta al Consiglio di Sicurezza o all’assemblea degli stati membri verificare la violazione e decidere eventuali misure necessarie”.

– Come giustamente lei accennava, la Libia non aderisce allo Statuto di Roma, ma è soggetta diciamo al controllo – mi passi la parola – della Cpi per via della risoluzione Onu 1970 del 2011. Ciò vuol dire che una volta che il paese avrà raggiunto la riconciliazione e una sua stabilità i casi in corso decadranno?
No, assolutamente. Voglio farle un esempio: la Georgia. I crimini di guerra compiuti nel paese risalgono al 2008, la Corte ha aperto un’inchiesta 7 o 8 anni dopo, la situazione era stabile, c’erano delle affermazioni diverse sul territorio, ma non c’era una continuazione di questo conflitto al momento, ma i crimini che sono accaduti non potevano rimanere impuniti, così questi sono ancora oggi sotto la giurisdizione della Cpi che sta investigando. Lo stesso discorso vale per la Libia. Quando i crimini di guerra, in accordo con il Consiglio di Sicurezza e la risoluzione delle Nazioni Unite, anche per il futuro genocidi e crimini contro l’umanità rimarranno sotto la nostra giurisdizione. Anche fra 10 anni, fra 20, questi crimini saranno giudicati dalla Corte che ha il diritto di investigare contro i loro perpetratori. Il fatto che il paese diventi stabile e prospero, come speriamo, non influirà sul mandato della Cpi. Certamente se il sistema giudiziario nazionale diventerà più efficace ed in grado di svolgere le investigazioni allora varrà il principio di complementarietà, cioè se il sistema nazionale è capace e disposto a condurre reali investigazioni e persecuzioni per gli stessi crimini allora abbiamo il dovere di trattare con i tribunali nazionali che hanno la primaria responsabilità, ma se questo non avviene e il sistema giudiziario non è abbastanza forte per perseguire realmente i sospetti o non vi è la volontà -per ragioni politiche ad esempio- allora è la Corte che continuerà ad indagare sui vari casi”.

– Chi è a valutare l’affidabilità del sistema nazionale?
I giudici della Cpi, o meglio lo stato può fare appello alla Corte affinché sia il Procuratore nazionale ad occuparsi del caso, come per Abdullah al-Senussi, per il quale la Corte aveva emesso un mandato di arresto, ma le autorità libiche hanno dimostrato di essere capaci di condurre un procedimento genuino e di essere seri nell’indagare sugli stessi fatti su cui la corte stava investigando, per questo abbiamo smesso di chiedere di presentare Senussi di fronte alla Cpi”.

– Come è possibile credere che il sistema giudiziario nazionale sia genuino per un caso e non per un altro?
“La credibilità è solo uno degli elementi, è necessario che le autorità nazionali si dimostrino credibili, capaci e volenterose di ricercare la verità di fronte alla CPI. Questi prerequisiti non sussistono in relazione al caso del signor Gheddafi. Precedentemente le autorità libiche hanno provato ad occuparsi del caso contro Saif al-Islam Gheddafi come hanno fatto per Senussi, ma i giudici hanno appurato che il Governo Centrale non aveva il pieno controllo su Saif al Islam, non c’era una difesa legale per il sospettato, non c’era abbastanza contatto per proteggere le prove e i testimoni e l’investigazione nazionale non stava coprendo tutti i fatti coperti dalla CPI; per questo la richiesta fu rigettata”.

– Qualora le Nazioni Unite lo ritenessero opportuno per svariati motivi, come la sicurezza internazionale o la stabilità del Paese, i casi possono decadere?
Il Consiglio di Sicurezza in base alla risoluzione del capitolo VII può chiedere alla Cpi di sospendere un caso per un massimo di 12 mesi, dopo di che la Corte riprende il suo lavoro. La sospensione può essere rinnovata sempre secondo la risoluzione del capitolo VII. Se il Consiglio di Sicurezza stabilisce che in ordine di proteggere la pace o la sicurezza del mondo è necessario sospendere un caso per un massimo di un anno, la Corte si ferma come previsto dal nostro Statuto di Roma, ma il Consiglio e nessun altro può chiedere alla Corte di abbandonare un caso”.

– Passiamo all’ufficiale Mahmoud al-Werfalli. Di recente abbiamo visto dei video con alcune esecuzioni sommarie da parte del sospettato. Costa state facendo?
Beh, la Corte sta facendo quello che può fare. Abbiamo emesso un mandato di arresto e stiamo cercando la collaborazione degli stati, inclusa la Libia, per arrestarlo e consegnarlo alla giustizia”.

Il signor Werfalli era un sottoposto del generale Khalifa Haftar, come tutti i militari lui stava eseguendo i comandi del suo superiore. La Cpi sta valutando o ha già aperto un’investigazione sul generale Haftar?

Come funziona la Corte, innanzitutto dobbiamo trovare delle prove sulla responsabilità penale del soggetto, è necessario dimostrare che questa persona specifica ha ordinato l’esecuzione di questi crimini, o l’impunità per aver commesso i fatti, se ci sono queste evidenze noi possiamo accusare questo superiore militare; se no non vi sono le condizioni legali per correlare ciò che ha fatto l’ufficiale con il suo comandante. Il fatto che una persona sia sottoposta ad un’altra non significa che automaticamente il superiore sia responsabile per la Corte. Sono necessarie prove…”

Ma ci sono due video che dimostrerebbero la responsabilità di Haftar, un gruppo di legali inglesi credo abbiano anche presentato un fascicolo al procuratore …
Sono sicuro che qualsiasi documento sia stato presentato all’attenzione del procuratore stia venendo valutato e se il procuratore reputerà che si sono abbastanza prove per collegare una persona specifica a crimini che sono sotto la giurisdizione della Cpi il caso verrà presentato ai giudici, ma se queste evidenze mancano non è possibile procedere. Inoltre va ricordato che non possiamo annunciare nulla prima che il caso venga portato davanti ai giudici con un documento pubblico, perché il principio è che le investigazioni devono rimanere confidenziali. Evidenze, fatti e crimini compiuti da un soggetto verranno resi noti solamente quando verranno presentati davanti ai giudici”.

– Parlando con i libici, molti ci dicono che la Corte ha investigato contro Werfalli, ma la domanda che si fanno è: perché non guardano ai reati compiuti dalle sue vittime, o meglio, gli islamisti?
Ci sono diversi casi, non c’è solo quello di Werfalli. Dobbiamo ricordare che molti casi sono venuti alla luce solamente dopo la pubblicazione, prima non erano conosciuti. Non è utile per le investigazioni rendere pubbliche informazioni sui casi in corso. Qualsiasi informazione arrivi all’attenzione del procuratore viene attentamente valutata per verificare l’attendibilità delle accuse ed evidenze che colleghino un soggetto a crimini di guerra. La nostra funzione si basa sulle evidenze e non sulle divisioni politiche: abbiamo investigato su una parte ora valutiamo quella opposta. Non funziona così, la corte non considera gli aspetti politici”.

– Quindi possiamo dire che qualsiasi cittadino libico abbia evidenze o prove su crimini compiuti da chiunque altro, può comunicarlo all’ufficio del procuratore. È corretto?
Esattamente, poi sarà il procuratore a valutare se queste prove siano abbastanza solide da condurre il caso di fronte ai giudici”.

– C’è un movimento per le vittime della Nato in Libia. Il procuratore ha valutato le loro richieste? È chiaro che il caso può essere reso pubblico solo quando viene presentato di fronte ai giudici, ma vorremmo capire se c’è una reale considerazione delle vittime causate dall’intervento militare della coalizione nel 2011…
Quello che posso fare è invitarla a vedere il rapporto del procuratore al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per vedere le aree di investigazione della Cpi e dobbiamo anche chiarire la natura dei reati su cui la Corte può esprimersi. La Cpi può intervenire su crimini di massa che rispondono a determinati criteri: quando parliamo di genocidio e non semplicemente di assassinii, questi possono essere considerati massacri solo se c’è l’evidenza che essi siano stati condotti per eliminare un gruppo specifico di persone sulla base della lingua, del sesso, della razza o dell’orientamento religioso o politico; se parliamo di crimini contro l’umanità e non contro un individuo, essi sono rappresentati da un attacco diffuso contro la popolazione civile. Se l’attacco non è sistematico o se non c’è una ampia diffusione, l’evento non è da considerarsi un crimine contro l’umanità. Questi criteri sono identici e applicabili per tutti, anche per la Nato. L’ufficio del procuratore deve analizzare se ciò di cui stiamo parlando è da considerarsi come crimini di guerra, o crimini contro l’umanità, o genocidio. Non è sufficiente che sia accaduto qualcosa, devono esserci i criteri legali che qualifichino tali eventi”.

– Mi perdoni l’insistenza, ma c’è veramente la sensazione che la Corte usi due pesi e due misure, lasciando passare i crimini commessi da alcuni mentre si accanisca contro altri. Non trova?
Assolutamente no, la CPI lavora su evidenze e regole legali, se sussistono le prime si passa a verificare le leggi che come le ho detto qualificano gli atti come crimini di guerra o contro l’umanità. Se vi sono questi requisiti la Corte procede, se quello che lei dice fosse vero la Corte non avrebbe aperto il caso preliminare contro i soldati inglesi in Iraq che non sono protetti perché provenienti dall’Inghilterra. Ci sono le perizie preliminari e poi una volta stabilito che vi sono le evidenze, si procede di fronte alla Corte. Come abbiamo perseguito i militari inglesi in Iraq perché dovremmo proteggerli in Libia?”.

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