La vita dei bambini libici non dovrebbe essere ostaggio della politica

Di Vanessa Tomassini.

I bambini non dovrebbero essere mai ostaggio o al centro delle dispute della politica, in particolare quando in gioco vi è la loro salute, diritto inalienabile sancito dell’Uomo. La Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 sancisce che “gli Stati membri riconoscono il diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di riabilitazione. Essi si sforzano di garantire che nessun minore sia privato del diritto di avere accesso a tali servizi”.  La stessa Convenzione aggiunge: “Gli Stati parti si sforzano di garantire l’attuazione integrale del summenzionato diritto e in particolare adottano ogni adeguato provvedimento per: a) diminuire la mortalità tra i bambini lattanti e i fanciulli; b) assicurare a tutti i minori l’assistenza medica e le cure sanitarie necessarie, con particolare attenzione per lo sviluppo delle cure sanitarie primarie”.

E ancora: “Gli Stati parti adottano ogni misura efficace atta ad abolire le pratiche tradizionali pregiudizievoli per la salute dei minori.  Si impegnano a favorire e incoraggiare la cooperazione internazionale in vista di ottenere gradualmente una completa attuazione del diritto riconosciuto nel presente articolo. A tal fine saranno tenute in particolare considerazione le necessità dei Paesi in via di sviluppo”. Tutto ciò non sembra trovare applicazione quando ad essere malati sono i bambini libici, in particolari quanti soffrono di malattie rare, degenerative come tumori, cancro o leucemie, che nel proprio Paese nel 2022 non hanno accesso alle cure necessarie di base. E sono dunque condannati a morte se non trasferiti all’estero con urgenza. La Comunità internazionale ha larghe responsabilità storiche per le condizioni in cui versa oggi la sanità libica.

Il Governo libico ha firmato nel corso degli anni decine di accordi con diversi Stati, compresa Italia, Turchia, Tunisia e Giordania, in materia di cooperazione sanitaria. Il fascicolo è stato al centro delle recenti discussioni tra l’ambasciatore francese in Libia e il Governo di Unità Nazionale. Il programma di Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli Affari Esteri italiano ha stanziato quest’anno 2 milioni di euro per garantire cure salva-vita in Libia, accogliendo dozzine di pazienti libici, compresi minori, negli ospedali italiani. I quali vantano ingenti debiti nei confronti dello Stato libico, che per innumerevoli ragioni, fatica a pagare.

Mercoledì, il vicedirettore dell’ospedale pediatrico di Bengasi, Salah Al-Amrouni, ha indicato che da metà settembre al 7 novembre, nove bambini malati di cancro sono morti. Il Ministero della Salute libico ha istituito un comitato per stabilire le condizioni di salute di minori pazienti oncologici per il loro trattamento all’estero, ma dall’aprile del 2021 nessun caso avrebbe viaggiato fuori dalla Libia per la mancanza di fondi. Alcuni pazienti e le loro famiglie hanno raggiunto la vicina Tunisia, dove le cliniche non vedendo pagati i propri conti economici da parte delle istituzioni libiche, hanno spesso sospeso l’accettazione di pazienti libici. Alcune famiglie hanno dichiarato di aver fatto ritorno in Libia dopo innumerevoli vicissitudini. Nel marzo 2021, la signora Mabrouka ci ha contattato per suo figlio di tre anni affetto da una grave forma di tumore, giunto ad uno stato talmente avanzato da avergli deformato il volto. Un ospedale pediatrico a Tunisi ha preteso 150 dinari (circa 45 euro) solamente per visionare le carte senza nemmeno vedere il bambino. Contattate le autorità italiane, l’ospedale da campo di Misurata si è immediatamente offerto di visitarlo, tuttavia il trasferimento in Italia era impossibile per le gravi condizioni in cui versava il bambino, morto pochi giorni dopo al Misurata General Hospital.

Mesi fa, il signor Osama ci ha contattato allarmato per suo figlio Faraj Qaed, 5 anni, di Sirte, affetto da due forme di tumore, ha ricevuto il trattamento sanitario presso il King Hussein Hospital di Amman, considerato un’eccellenza in Medio Oriente. Tuttavia, l’ultimo rapporto medico afferma che Faraj non ha ricevuto il decimo ciclo di chemio, che avrebbe dovuto iniziare il 10 ottobre, a causa della mancanza di copertura finanziaria. Fonti del Governo libico hanno dichiarato di essersi impegnati a pagare per il trattamento del piccolo Faraj Qaed presso l’ospedale giordano. Il papà tuttavia insiste sul fatto che il King Hussein Hospital ha sospeso le cure da oltre un mese. Faraj oggi non si trova nemmeno in ospedale, mentre altri pazienti oncologici sarebbero morti a causa dell’interruzione delle cure in Amman. Dopo diversi tentativi, da Tripoli hanno ammesso che il “Governo libico paga sempre per le cure dei propri pazienti. Le cliniche all’estero che ricevono cittadini libici sono spesso strutture private e richiedono il pagamento anticipato del 30% per l’accettazione e la concessione dei visti. Dopo che il Parlamento libico ha bloccato il budget, il Governo libico non ha i fondi necessari per pagare le cure di Faraj”.  Non è il momento di chiedersi se è vero o no che un Paese produttore di petrolio abbia fondi o meno, se gli ufficiali libici preferiscono spendere le risorse a loro disposizione in altri modi, l’unico argomento su cui tutti dovremmo interrogarci è: come possiamo salvare la vita di Faraj e di ciascun bambino libico che oggi non ha accesso alle cure.

Sono tanti i punti inspiegabili in questa storia. Ma quello che fa più specie è come i medici giordani hanno potuto sospendere la chemio-terapia o il trattamento farmacologico alternativo per un bambino di 5 anni. A tal proposito, è opportuno ricordare che il giuramento di Ippocrate, sottoscritto da ogni medico, afferma: “Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro: di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento rifuggendo da ogni indebito condizionamento; di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale; di curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno, prescindendo da etnia, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica e promuovendo l’eliminazione di ogni forma discriminazione in campo sanitario; di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona”. La sospensione della chemioterapia o trattamento farmacologico equivalente in un paziente affetto da leucemia significa condannarlo a morte.

Senza entrare nel merito di accuse di corruzione e di guadagni da parte di ufficiali libici sulla pelle dei pazienti, sembrerebbe che il caso di minori libici all’estero per cure salava-vita siano strumentalizzati per scopi politici sia internamente, nella lotta intestina per il potere tra due esecutivi, sia tra Nazioni. La vita dei bambini non dovrebbe mai divenire merce di scambio, oggetto di ricatto nel braccio di ferro della politica. È necessario che gli attori politici libici, comprese le istituzioni finanziarie, militari, petrolifere, facciano tutto quanto è possibile per salvare la vita di ogni bambino come Faraj. Ogni medico dovrebbe fare il proprio lavoro secondo i principi su cui ha giurato. Ogni Stato dovrebbe mantenere fede ai suoi impegni internazionali nel tutelare la vita, la salute e il benessere dei minori indipendentemente della loro razza, origine o credo. La vita è il bene più prezioso che abbiamo. Per favore, restiamo umani.

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