Condizioni disumane dei migranti detenuti nella Libia occidentale durante il COVID-19

Alla fine del 2017, le orribili immagini di migranti venduti come semplici merci in Libia hanno fatto il giro del mondo. Ciò ha suscitato una protesta globale e ha spinto molti leader, in Europa, in Africa, in Libia, a promettere misure per proteggere i rifugiati e i migranti da abusi e condizioni simili alla schiavitù. Tuttavia, tre anni dopo, nulla è realmente cambiato ad eccezione di qualche centro chiuso grazie al conflitto armato. In effetti, la situazione dei migranti intrappolati in Libia è peggiorata a causa dei combattimenti tra le milizie affiliate al Governo di Accordo Nazionale (GNA) e l’esercito nazionale libico (LNA) guidato dal generale Haftar.
La scorsa settimana 30 migranti, la maggior parte del Bangladesh, sono stati uccisi da un trafficante e dalle milizie del GNA che ancora controllano l’area a sud di Tripoli. Centinaia di migranti detenuti in Libia non sanno quando e se usciranno da quei lager. Hanno già visto decine di persone crollare e morire di fame. Come se ciò non bastasse, sono assediati dal coronavirus. Dopo la registrazione di nuovi casi positivi al COVID-19, a Sabha, un’ondata di paura si sta diffondendo attraverso la Libia meridionale, suscitando allarme per i migranti sub sahariani che continuano ad arrivare senza alcun controllo.
Il governo libico non ha adottato misure per proteggere i migranti nei centri di detenzione governativi che gestisce. Non c’è acqua, sapone o dispositivi di protezione individuale nelle prigioni sovraffollate. In passato, i funzionari delle Nazioni Unite hanno denunciato le pessime condizioni che affrontano i migranti prigionieri in Libia. Non ci sono bagni o docce sufficienti per tutti e i migranti sono affetti spesso da malattie della pelle e gastrointestinali. I migranti non vengono testati per il nuovo coronavirus nonostante siano malati, con il rischio che il virus si diffonda drammaticamente tra loro e le comunità locali che li ospitano.
I migranti vivono e dormono in spazi ristretti. Sono ammucchiati in piccole celle dove è difficile respirare ed è impossibile rispettare le misure preventive di distanziamento sociale. Nella prigione di Zintan – riporta il quotidiano “Repubblica” – ci sono due sezioni: nella prima 8 celle, nella seconda 14 celle. Ma lo spazio è molto piccolo, da soffocare. “Dobbiamo dormire avvolti in coperte sporche e ammucchiati in gruppi di venti”, dice un migrante intervistato.
I migranti affermano di essere lasciati morire di fame e sete quando le milizie che controllano i centri di detenzione sono impegnate nei combattimenti. Se queste sono le condizioni dei migranti nei centri di detenzione governativi, possiamo solo immaginare cosa vivono coloro che sono detenuti in capannoni illegali gestiti da mafie locali nella Libia occidentale e meridionale, al cui gli staff dell’ONU non hanno accesso. L’OIM ha denunciato che il blocco e il divieto di viaggiare da una città all’altra in risposta al COVID-19 rende difficile, se non impossibile, la consegna di aiuti umanitari urgenti , aggiungendo che la situazione è resa ancora più drammatica dal conflitto in corso.
Diverese Organizzazioni per i Diritti Umani hanno chiesto alla comunità internazionale di sospendere immediatamente qualsiasi collaborazione con il GNA di Tripoli, considerando il coinvolgimento di elementi dei suoi gruppi armati nella tratta e nel maltrattamento sistematico dei migranti. Le autorità dovrebbero consentire all’esercito libico di controllare i centri di detenzione e garantire la salute di tutti, applicando il modello già in uso nella Libia orientale.