Centro di detenzione di Ain Zara. Parola al Capitano Eyad al-Jahawi

Di Vanessa Tomassini.
Tripoli, 12 aprile 2019 – Ci troviamo ad Ain Zara, sobborgo ad una ventina di kilometri dalla capitale Tripoli, da giorni fronte di violenti combattimenti tra le forze allineate al Governo di Accordo Nazionale e quelle del maresciallo Khalifa Haftar. Siamo una decina di giornalisti, la maggior parte italiani, su un piccolo autobus organizzato dall’Ufficio Media del Ministero degli Esteri del Governo di Accordo Nazionale (GNA), scortato nel traffico da un Toyota delle forze del ministero dell’Interno, che ci tiene a smentire alcune false dichiarazioni rilasciate dall’ìnizio della nuova guerra dalla fazione opposta, in particolare, dal portavoce di Khalifa Haftar, Ahmed al-Mismari, che rivendicava il controllo di alcuni punti strategici come Khallet al-Furjan e, più avanti, la porta 27 tra Warshefana e Zawiya, in realtà sotto l’autorità delle agenzie di sicurezza di Tripoli.
E’ molto difficile riportare questa guerra senza cadere nei meccanismi della propaganda, dei rumors e delle dichiarazioni, rilasciate a volte troppo presto, o inaccurate per la mancanza di informazioni, per questo, ci limiteremo a riportare la situazione che ci viene mostrata, senza fronzoli e ulteriori commenti. Una stradina nella vasta campagna, conduce ad una struttura bianca, di fronte a noi un cancello nero ed un murales con il logo del Ministero della Giustizia, è il Centro di detenzione e riabilitazione di al-Ruwemi. “Al momento abbiamo arrestato, dall’inizio degli scontri, 75 uomini delle milizie di Khalifa Haftar. Almeno 14 o 15 sembrano minorenni, anche se dichiarano di avere più di 17 anni”. A parlare è il capitano Eyad al-Jahawi, aspetto fiero nella sua divisa, 32 anni, originario del quartiere tripolino di Souq al-Jouma.
Quando chiediamo la data di nasciata esatta, insistendo, Eyad ci dice: “Ora che vedrà le loro facce, capirà che si tratta di bambini. Non sappiamo la data di nascita perchè non hanno documenti con loro”. Sono in buona salute, anche se impietriti dalla paura ed il fatto di essere mostrati ai giornalisti come trofei, sicuramente non migliora il loro stato d’animo. “Sono stati catturati da tre o quattro giorni ed arrivano da diverse città della Libia, alcuni dalla regione occidentale, altri dalla Cirenaica”. Prosegue il capitano al-Jahawi, prima di mostrarci il centro medico della prigione. “Abbiamo due sale operatorie, una per i feriti normali, l’altra per i pazienti affetti da malattie particolari. Qui vengono trattati sia i prigionieri che gli uomini del nostro battaglione. Dall’inizio della guerra, abbiamo perso 4 persone e 10 di noi sono stati feriti”.
Dopo averci mostrato le attrezzature mediche, compresa una poltrona per dentisti, gli uomini del capitano Eyad ci aprono gli alti cancelli dell’Istituto di detenzione e riabilitazione per farci vedere il resto degli ostaggi, già visitati dal personale delle Nazioni Unite. E’ in questo momento che tra le file di quegli uomini in uniforme, faccia al muro, uno cade all’indietro perdendo i sensi. Viene immediatamente soccorso, caricato su una barella e fatto stendere sul lettino del piccolo centro medico, dove c’è pronto un medico che ci rassicura sulle sue condizioni. Mohammed, di Zawiya, sta bene, si è trattato solo di un po’ di tensione.
