Il coinvolgimento dell’Egitto nella crisi libica: interessi e prospettive future

Di Mario Savina.
Il caos in cui è caduta la Libia dal 2011 – anno della disfatta del regime di Moammar Gheddafi – ha destabilizzato l’intera regione nordafricana. Ripercussioni politiche, economiche e di sicurezza hanno interessato in particolar modo i paesi con cui l’ex colonia italiana condivide i confini. Tra questi, l’Egitto è sicuramente uno dei paesi maggiormente coinvolti e interessati alla risoluzione della questione libica. Conseguentemente, la politica del Cairo nei confronti del paese limitrofo è guidata da molteplici interessi, che vanno dalle pressanti preoccupazioni in termini di sicurezza a considerazioni di tipo economico, passando per questioni politiche e ideologiche. Tutto ciò spiega le contraddizioni egiziane sul dossier libico in questi ultimi anni: se, da una parte, il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, ha sempre promosso e sostenuto il dialogo politico, dall’altra, ha supportato – in maniera non tanto velata – la fazione orientale, prima sostenendo il comandante in capo dell’Esercito nazionale libico (Lna), il feldmaresciallo Khalifa Haftar, nella sua guerra contro il precedente Governo di accordo nazionale (Gna) guidato dall’allora premier Fayez al-Sarraj, e nell’ultimo periodo appoggiando il premier del Governo di stabilità nazionale (Gns), Fathi Bashagha, nella sua disputa per il potere contro l’esecutivo di Abdulhamid Dbeibah, a capo del Governo di unità nazionale (Gnu).

Questione di sicurezza al confine
Come detto, l’Egitto è uno dei paesi confinanti della Libia. Il confine tra i due paesi, che si estende per circa 1.200 km, è diventato una questione di sicurezza estremamente complessa per la controparte egiziana. Nel recente passato, i deserti sul lato orientale libico sono già stati luogo di numerosi episodi terroristici e le autorità cairote, inoltre, indicano l’ex Jamāhīriyya tra le principali fonti di armi per i gruppi terroristici che operano nel nord del Sinai. Nonostante decine di migliaia di truppe egiziane, mine antiuomo e un severo controllo aereo, il confine rimane un importante centro di contrabbando di armi, droga ed essere umani, compreso il passaggio di estremisti e militanti ostili all’esecutivo di al-Sisi. L’instabilità dell’area e la necessità di affrontare la questione della sicurezza costringono a rafforzare il dialogo con i leader tribali nella regione al confine tra i due paesi. Tradizionalmente, le tribù della Libia orientale e del deserto occidentale egiziano hanno stretti rapporti grazie ai matrimoni tra soggetti appartenenti ai diversi gruppi, e questo può offrire soluzioni di intelligence e di mediazione in caso di controversie nella regione. Su questo tema, al-Sisi ha trovato un ottimo alleato in Haftar. Il Cairo ha supportato (e lo fa tutt’oggi) Haftar e le milizie sue alleate offrendo intelligence, supporto logistico e armi, violando in tal modo l’embargo imposto dalla Nazioni unite, per mantenere un certo controllo nella regione. Inoltre, negli ultimi giorni è emersa la notizia della possibilità della creazione di una zona cuscinetto di almeno 15 km all’interno del territorio libico per impedire il flusso di armi e contrastare il contrabbando all’interno del territorio egiziano.

Gli interessi economici egiziani
Di pari importanza è il tema economico. Gli interessi egiziani, infatti, svolgono un ruolo centrale nella sua politica nei confronti della Libia. Prima della caduta di Gheddafi, quasi 2 milioni di egiziani vivevano e lavoravano in Libia, generando rimesse fino a 33 milioni di dollari l’anno. Le rimesse dei lavoratori all’estero sono tra le principali fonti di valuta nell’economia egiziana: a marzo 2022 la quota totale ammontava a 3,3 miliardi di dollari contro i 2,9 miliardi dell’anno precedente. Nel 2017 il numero di lavoratori migranti egiziani che attraversavano il confine libico è sceso a circa un milione, con una grave riduzione delle rimesse e con conseguenti effetti sull’economia del paese. I lavoratori egiziani sono stati presi di mira da gruppi radicali islamisti come rappresaglia per l’appoggio del Cairo al feldmaresciallo libico. Nel 2015, dopo la morte di 21 copti egiziani per mano di militanti dell’Isis, episodio cui avevano fatto seguito bombardamenti egiziani su basi militari appartenenti ai gruppi terroristici, il governo egiziano aveva vietato i trasferimenti nel paese vicino. Molti cittadini egiziani, nonostante il pericolo, attraversavano però il confine per avere più opportunità lavorative, visto l’alto tasso di disoccupazione. Negli ultimi mesi si è assistito a un graduale ritorno di lavoratori egiziani nel paese vicino: subito dopo il mese sacro del Ramadan, sono stati circa 2500 a varcare il confine per iniziare a lavorare su progetti di collaborazione tra il governo libico e alcune aziende egiziane. Secondo il ministro del Lavoro libico, Ali al-Abed, il suo paese avrà bisogno di un milione di lavoratori egiziani nella fase di ricostruzione della Libia. In tale direzione vanno quindi gli accordi bilaterali, utili anche al fine di prevenire lo sfruttamento e l’immigrazione illegale di manodopera.

La crisi libica influisce negativamente anche sul commercio bilaterale tra i due paesi, con una riduzione delle esportazioni egiziane in Libia, che è passata da circa 1,2 miliardi di dollari nel 2010 a 440,9 milioni nel 2017, per aumentare nuovamente nel 2019 a 830,7 milioni di dollari e attestarsi a 796,2 milioni nel 2021. In quest’ultimo anno, la bilancia commerciale è decisamente a favore del Cairo, con una differenza di 732,4 milioni di dollari. L’Egitto è, tra l’altro, interessato alle risorse energetiche libiche. Su tale punto, l’accordo tra il Gna e la Turchia nel 2019 ha creato non poche tensioni nel Mediterraneo orientale. Il Memorandum of Understanding offre infatti una corsia privilegiata alle compagnie estrattive turche nella corsa per impossessarsi dei campi di estrazione di gas libici. Questo, ovviamente, non ha soddisfatto gli altri attori dell’area, in primis Egitto e Grecia.

Il governo egiziano nell’ultimo anno ha valutato, altresì, la possibilità di aumentare le esportazioni di elettricità verso la Libia. Il Cairo, che recentemente si è attestato tra i principali produttori di energia rinnovabile del Nord Africa, è alla ricerca di mercati per il suo eccesso di offerta nel settore. Dal 1998 l’Egitto e la Libia sono collegati da una linea elettrica. Questa linea aggiunge 200 megawatt di potenza alla rete nazionale libica. Il governo egiziano prevede di aumentare la capacità a 450 megawatt. Una scelta che potrebbe sia alleviare l’attuale emergenza libica connessa alla penuria di energia elettrica che gli sforzi di ricostruzione del paese. Ancora, l’Egitto spera di avere importanti vantaggi economici dalla futura ricostruzione della Libia. Si stima che i contratti necessari per far fronte a questo progetto saranno valutati intorno alle centinaia di miliardi. Di conseguenza, chiunque avrà una forte influenza nel paese otterrà sicuramente una parte molto importante dei lavori.

Fattore politico-ideologico
Al contempo, l’Egitto ha un interesse politico e ideologico nelle sue relazioni con l’ex colonia italiana. Nonostante le aperture a Turchia e Qatar nell’ultimo periodo, il Cairo teme ancora l’impatto dell’Islam politico sul proprio contesto domestico. L’obiettivo è rappresentato dalla lotta contro i Fratelli musulmani, in patria e all’estero, e in tal senso l’Egitto intende ovviamente impedirne l’ascesa all’interno della Libia. Il successo degli islamisti nel paese darebbe forza alla Fratellanza egiziana, che continua a godere di sostegno popolare nonostante le azioni di contrasto messe in atto dal governo. Proprio la lotta all’Islam politico è stata la causa che ha portato alla rottura delle relazioni diplomatiche (ma non economiche) con la Turchia, dopo che il governo di Mohamed Morsi, vicino ai Fratelli Musulmani, è stato rovesciato nel 2013. Uno scontro, quella tra Ankara e il Cairo, che si è manifestato anche sul dossier libico durante gli anni della guerra civile. La recente disponibilità del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, attore più attivo sul fronte tripolino, a dialogare con l’Egitto potrebbe forgiare una rinnovata cooperazione tra le potenze regionali e aiutare gli sforzi per permettere una stabilizzazione definitiva dell’ex colonia italiana.
Il forte sostegno all’uomo forte della Cirenaica è stato dunque motivato da una serie di motivi che incrociavano gli interessi cairoti. Haftar garantisce sicurezza alla frontiera, si impegna attivamente nella lotta contro jihadisti e islamisti, prendendo una posizione chiara contro i Fratelli musulmani in Libia e, come al-Sisi, è convinto che un sistema militare sia in grado di portare stabilità nel paese. D’altro canto è vero che dopo il fallimento dell’assedio di Tripoli, il feldmaresciallo libico ha perso in parte il forte supporto egiziano, che ha dirottato le sue attenzioni verso i principali personaggi politici, in particolar modo nelle figure del presidente della Camera dei Rappresentanti (HoR), Aquila Saleh, e del già citato premier Fathi Bashagha. Nel 2021 al-Sisi ha aperto anche al dialogo con la regione occidentale libica. Diverse sono state le circostanze che hanno portato alla visita della capitale libica da parte di alti diplomatici e funzionari egiziani, così come i viaggi del capo del Gnu Dbeibah in terra egiziana. Al centro del dialogo, oltre alla riconciliazione nazionale, anche la firma di accordi nei settori elettrico, infrastrutturale, medico e delle Tlc. Il ripristino dei rapporti con il Gnu ha rappresentato il tentativo di al-Sisi di ricalibrare la propria strategia per evitare un’escalation militare che Il Cairo non può permettersi, visto gli impegni regionali che mantengono già impegnato il paese. Da evidenziare, altresì, l’incontro tra al-Sisi e il capo del Consiglio presidenziale libico, Mohammed al-Menfi, avvenuto a fine marzo. Se, da una parte, tale apertura ha lasciato immaginare alla possibilità di facilitare un compromesso tra i due premier libici oggi rivali, dall’altra, il ritiro del ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, durante la riunione ministeriale della Lega araba lo scorso 6 settembre, presieduta dalla sua omologa libica, Najla al-Mangoush, ha destato non poco scalpore. Secondo la prospettiva cairota, il mandato del Gnu è scaduto dopo il mancato svolgimento delle elezioni previste lo scorso 24 dicembre e quindi non ha legittimità popolare per rappresentare il paese. Al-Sisi, nonostante la dichiarata intenzione di facilitare un dialogo tra le due fazioni rivali, continua palesemente nel suo sostegno alla fazione cirenaica. Nonostante ciò, Il Cairo ha voluto sottolineare che i canali di comunicazione con Tripoli restano aperti.

Conclusioni
Per l’Egitto, una Libia stabile con un governo centrale in grado di proteggere i propri confini e impegnarsi in scambi commerciali proficui con i partner confinanti sembra la soluzione preferibile a lungo termine. Tuttavia, Il Cairo è consapevole delle difficoltà di una risoluzione definitiva della crisi libica nel breve periodo. Il raggiungimento di tale obiettivo è complicato alla luce delle perenni divisioni che caratterizzano la Libia. Dal punto di vista egiziano, sarà fondamentale una riforma del settore sicurezza libico: qualsiasi tentativo di stabilizzazione non può essere separato dalla nascita di un esercito nazionale unificato, epurato dalla presenza di milizie e mercenari stranieri, e non piegata alle aspirazioni personali di nessun politico. Anche sul quadro costituzionale, l’intermediazione egiziana sta svolgendo un ruolo attivo: diversi incontri tra i due organi legislativi oggi esistenti in Libia, la HoR e l’Alto Consiglio di Stato (Hcs), si sono svolti in Egitto e sotto l’egida degli uomini del presidente egiziano. Ad oggi, nonostante le contraddizioni e le difficoltà di dialogo, sembra evidente una sola intenzione: la ferma convinzione di prevenire qualsiasi scontro armato tra le parti. La ripresa di un conflitto militare – dopo l’accordo sul cessate il fuoco raggiunto a Ginevra nell’ottobre del 2020 – avrebbe, infatti, conseguenze negative anche sulla sicurezza nazionale egiziana e sul suo già traballante ruolo di leader del mondo arabo.