Capo della sicurezza di Gheddafi Mansour Daou viene rilasciato

L’ufficio del procuratore militare ha affermato che il ministro della Giustizia nel Governo libico di Unità Nazionale, Halima Abdel Rahman Al-Busifi, ha firmato l’ordine di rilascio per motivi medici di uno degli ultimi leader del regime Gheddafi ancora in prigione, Mansour Daou. La Procura ha indicato di essere estranea alla decisione di rilascio, indicando che Daou era in un carcere militare in quanto uno dei massimi ufficiali della sicurezza del colonnello Muammar Gheddafi, precedentemente condannato a morte dalla magistratura civile di Misurata.

Mansour Daou

La dichiarazione indicava che la questione era stata deferita al Direttore del Dipartimento di Polizia Militare per agire in conformità con le leggi e i regolamenti, ma fonti locali affermano che l’ufficiale sarebbe già stato liberato. Daou ha servito come capo della sicurezza incaricato di proteggere Gheddafi fino alle sue ultime ore di vita, oltre ad essere stato capo della Guardia popolare. Era stato arrestato a Sirte il 20 ottobre 2011 e poi detenuto nella città di Misurata, dove fu processato e condannato a morte.

Dopo la visita di Haftar nella Libia Meridionale, dove è stato ricevuto da Mabrouka Mohamed al Sherif, membro del nuovo Consiglio Sociale della Tribù Twareg, nella città di Ghat, considerata fedele all’ex regime, l’obiettivo del primo ministro Abdul Hamid Dabaiba è di cooptare queste figure centrali del precedente sistema delle masse perché hanno una base sociale e un peso economico che possono servirgli nella competizione per il potere. Dopo le minacce di Haftar che ha chiamato i libici a una nuova rivoluzione.

Già nel 2014, quando scoppiò la guerra civile tra est e ovest, i due governi in competizione corsero ad ampliare le loro basi e trovare appoggio tra i fedelissimi dell’ex regime, fino ad allora emarginati o addirittura esclusi dal gioco. Alcuni si unirono al governo di Fayez al-Sarraj a Tripoli, riconosciuto dalle Nazioni Unite, mentre altri si unirono ai ranghi dell’esercito di Haftar a est. La legge sull’amnistia approvata nel 2015 dalla Camera dei Rappresentanti (HoR), il Parlamento con sede a Tobruk, consente il rilascio di dozzine di Gheddafisti che non hanno commesso crimini durante la rivoluzione.

Dei trentasette quadri del regime, la maggior parte è stata infine rilasciata. Uno dei primi nella lista è stato il figlio di Gheddafi e aspirante successore, Saif al-Islam, per anni prigioniero a Zintan fino al 2017. Ancora perseguito dalla CPI, è riapparso sulla scena politica libica solo alla fine del 2021 per annunciare la sua candidatura alle elezioni presidenziali che si sarebbero dovute tenere il 24 dicembre 2021, salvo poi essere annullate per causa forza maggiore, a cui proprio Saif, insieme ad altre figure controverse comprese Haftar, Dabaiba ed altri, hanno contribuito con decine di ricorsi presentati all’Alta Commissione Elettorale Nazionale (HNEC).

Anche il fratello minore di Saif, Saadi Gheddafi, 48 anni, è stato assolto nel 2018 per l’omicidio di un ex allenatore di calcio, ma rilasciato solo tre anni dopo, il 5 settembre 2021. Il suo rilascio era uno degli obiettivi della ministra della Giustizia, Halima Abdel Rahman Al-Busifi, l’ex giudice considerata vicina alla figlia di Gheddafi, Aisha, è stata da sempre la principale sostenitrice della riconciliazione nazionale come unico mezzo per risolvere la crisi. Tuttavia, in molti sostengono che è stata la pressione delle autorità turche sui gruppi nella città rivoluzionaria di Misurata che ha contribuito ad aprire le serrature della sua cella. Il giorno successivo, infatti, Saadi salì a bordo di un jet privato per Istanbul. All’arrivo gli è stato offerto alloggio e cure mediche per guarire dai postumi della prigionia. Da allora l’ex calciatore libico non ha lasciato la Turchia mentre sua madre Safia Farkash e parte della famiglia Gheddafi si trovano in Egitto.

Recuperando uno dei tre figli sopravvissuti di Gheddafi, la Turchia ha segnato un punto per il campo di Dabaiba, contro l’Egitto, principale sostenitore del Governo parallelo dell’ex ministro dell’Interno Fathi Bashagha. In questa competizione, un altro leader della Jamahiriya, Ahmed Ramadan, ha scelto di rimanere in silenzio. Rilasciato quindici giorni dopo Saadi, è tornato al suo villaggio di Al-Assaba, sui monti Nafousa, a sud di Tripoli, dove gli emissari di Saif al-Islam e Haftar hanno tentato di ottenere il suo sostegno.

L’ex primo ministro della Libia, Baghdadi al-Mahmoudi, 77 anni, ha prima scelto di unirsi al gruppo di rifugiati in Egitto, prima di viaggiare negli Emirati Arabi Uniti, rimanendo fuori dalla politica. Prima di lui, aveva scelto l’Egitto, l’ex capo della sicurezza esterna Abuzaid Dorda che si è spento al Cairo lo scorso 28 febbraio all’età di 77 anni. Resta in carcere, Abdallah Mansour, detenuto a Tripoli dall’estradizione dal Niger nel 2014. La sua liberazione potrebbe non tardare ad arrivare. Mansour appartiene infatti alla tribù degli Awlad Suleiman (in arabo i figli di Salomone), componente chiave per il controllo dei confini meridionali soprattutto alla luce degli equilibri in evoluzione tra Twareg, Tebu, Qadhadhfa ed Awlad Suleiman.

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