Università di Napoli L’Orientale esamina la crisi politica in Libia e i suoi effetti sulla cultura Amazigh

Di Alessandro Belmonte.

Il 23 marzo si è tenuta a Napoli, all’università “L’Orientale”, un’interessante giornata di studi sulla crisi in Libia ed in particolare sui suoi effetti sulla cultura Amazigh. L’evento è stato organizzato dalla Prof.ssa Anna Maria Di Tolla, docente di lingua berbera nonché Presidente del CESA (Centro di Studi Berberi/Amazigh) dell’università di cui sopra, ed in collaborazione con l’università di Zawia. Diversi gli ospiti che hanno partecipato, in particolare Fathi Abouzakhar (Libyan Center for Amazigh Studies – Tripoli) e Hisham Ahmedi (Amazigh High Council of Libya) in presenza ed il cui contributo è stato rilevante. Riferendosi alla crisi libica, durante la conferenza sono stati analizzati gli ultimi dieci anni vissuti dal Paese, lo stato di fragilità che sta attraversando a partire da, e non a causa di, quel famoso ottobre 2011. Dall’analisi ricevuta, soprattutto grazie alle dirette testimonianze dei partecipanti, si è potuto notare però come la macchina politica creata da Gheddafi sembri in un certo qual modo continuare a vivere in Libia, e questo lo si potrebbe evincere dall’instabilità politica, la corruzione e la mancanza di coesione sociale ancora fortemente presenti su tutto il territorio libico.

LA QUESTIONE BERBERA/AMAZIGH

Collegata al problema della coesione sociale è la questione dell’identità Berbera o Amazigh. Il gruppo etnico è tra le categorie più fragili e che più subisce gli effetti di questa prolungata crisi politica. Ma perché è di fondamentale importanza? Lo è perché la situazione attuale Amazigh è lo specchio di ciò che è stato il passato della Libia durante il precedente regime e del suo presente. Le politiche attuate da Gheddafi a sfavore dell’identità Amazigh, basti pensare alla Legge n.12 del 1984 che proibiva l’utilizzo di lingue diverse dall’Arabo o ancora l’impossibilità per gli Amazigh di dare nomi berberi alle proprie figlie ed ai propri figli, riflettono l’oppressione e l’ingiustizia del popolo libico e rientrano in un discorso più ampio riguardante le minoranze.

SONO UN ESSERE UMANO PRIMA DI ESSERE AMAZIGH

È partito da questa definizione Fathi Abouzakhar, facendo notare come le istanze e la lotta per i diritti portate aventi dagli Amazigh appartengano in realtà alle minoranze in generale. L’assenza di una forte rappresentanza politica, la mancanza di consapevolezza o il basso tasso di istruzione, sono solo alcuni dei fenomeni che ricadono ad esempio anche sulle donne. Donne che, come hanno fatto notare Nadine Shinnib e Selma Shinnib (Amazigh Association – Yefren) hanno preso parte attiva alla rivoluzione del 2011, ma che si sono poi viste escluse, così come gli Amazigh, dal processo di Transitional Justice (Giustizia di transizione), concetto tanto caro agli ospiti della conferenza, che avrebbe dovuto guidare la Libia verso una rinascita realmente democratica. Oggi la situazione è in netto miglioramento, basti pensare alla reintroduzione dell’insegnamento della lingua amazigh all’università di Zawia, come testimoniato da Nafia Almati (University of Zawia – Libya), o le diverse associazioni che quotidianamente si battono per i diritti delle donne, ma il fallimento delle elezioni lo scorso 24 dicembre invita tutti a riflettere su quanta strada bisogna ancora percorrere per il futuro della Libia, purtroppo apparentemente ancora molto incerto.

Alessandro Belmonte, studente all’università di Napoli “L’Orientale”, laureando magistrale in Lingue e Culture dell’Asia e dell’Africa con tesi su: Le Politiche Educative in Libia. Conoscitore dell’Arabo e del Swahili con un particolare interesse rivolto al mondo islamico ed alla storia dell’Africa.

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