La Tripoli Protection Force (NON) segue il Consiglio Presidenziale

Di Vanessa Tomassini.
La Tripoli Protection Force, la coalizione di gruppi armati della capitale libica che include la Brigata dei Rivoluzionari (TRB), la sicurezza centrale di Abu Selim (Ghani), la brigata Alnawasi e le forze speciali di deterrenza (Kara), ha spazzato via ogni dubbio circa la propria indipendenza e sul fatto che delle milizie possano riconoscere qualsiasi autorità politica o civile, se non quella rappresentata dai propri interessi. Confermando quanto anticipato ieri su queste pagine, il gruppo ha rivelato in una breve dichiarazione di rispettare le decisioni del Consiglio di Presidenza, del Governo sostenuto dalle Nazioni Unite, solo quando queste sono condivise all’unanimità dai membri del Consiglio. Le milizie, tutte sul libro paga dello stesso Governo di Tripoli, hanno confermato la divisione politica all’interno del gabinetto di Governo, accusando alcuni membri senza tuttavia fare nomi, di sostenere il caos attuale ed incentivare gli scontri. La Tripoli Protection Force ha anche puntato il dito contro i Paesi stranieri e soprattutto contro il Ministro dell’Interno, colpevole – a loro dire – di non rispettare l’accordo di Zawiya soprattutto per quanto concerne la gestione dell’areoporto internazionale, lasciato nelle mani della Settima Brigata di Fanteria. In realtà l’areoporto internazionale era stato consegnato 2 giorni fa alla Direzione sicurezza e all’autorità dei porti e areoporti di Tripoli. Il gruppo ha anche pubblicato post ironici sui membri della Settima Brigata con scritte come “corri, corri” che celebrano la loro ritirata. La guerra dei bambini di Tripoli non sembra voler trovare fine e mentre le milizie corrono la gente continua a morire, l’ultimo bilancio pubblicato dal Ministero della Salute parla di 10 morti e 41 feriti, compresi donne e bambini. Tra questi vi era anche uno studente poco più che vent’enne della Facoltà politica dell’Università di Tripoli, per cui i compagni hanno protestato al grido “basta guerra, vogliamo un futuro normale!”.
