Diritti Umani. La Libia riconosce i diritti di cittadinanza ai figli di madri sposate con cittadini stranieri

Il governo libico ha esteso ai figli di donne libiche sposate con stranieri tutti i diritti finora riservati ai soli figli di coppie con entrambi i genitori di cittadinanza libica. La risoluzione n. 902 del 2022 prevede che i figli di donne libiche e con padre straniero godono di tutti i diritti di cui gode il cittadino libico, compreso il trattamento gratuito e l’istruzione in patria e l’ammissione alle scuole libiche all’estero.

La decisione dispone inoltre l’esenzione dall’obbligo di ottenere il visto libico in ingresso sul territorio libico, limitando ai soli padri il dovere di ottenere un visto d’ingresso all’arrivo, obbligando dunque le ambasciate e i consolati libici all’estero a fornire a queste famiglie il servizio simile a quello riservato a tutti i cittadini libici.

Si tratta di un importante passo avanti per la Libia in materia di diritti umani. Nel 2022, quattro anni dopo l’approvazione da parte della Lega Araba della Dichiarazione araba sull’appartenenza e l’identità, la regione del Medio Oriente e del Nord Africa (MENA) registra ancora la percentuale più alta di leggi discriminatorie sulla nazionalità in base al sesso, con 17 paesi in cui alle donne è negato il diritto a conferire la loro nazionalità ai figli e/o ai coniugi, esponendo loro e le loro famiglie a grave rischio di violazione dei diritti umani.

I figli e i coniugi a cui è negato il diritto di detenere la cittadinanza dei genitori nel paese di residenza hanno un accesso limitato al lavoro e alle opportunità economiche. La loro libertà di movimento è limitata e devono affrontare difficoltà quando viaggiano all’estero. La discriminazione nelle leggi sulla nazionalità rende anche le donne più vulnerabili, può causare difficoltà alle madri che hanno la custodia e l’accesso ai loro figli e rafforza le pratiche dannose come i matrimoni precoci.

Molti governi della regione, tuttavia, non vedono queste leggi come problematiche. Libano e Giordania, ad esempio, considerano le leggi sulla nazionalità una questione di sicurezza nazionale piuttosto che una questione di diritti umani.

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