No elettricità, no ossigeno. Black-out a Sabha nel sud della Libia da ieri

Di Vanessa Tomassini.

“L’elettricità è stata tagliata ieri pomeriggio, è tornata per poche ore e da questa mattina non c’è più. Il pompaggio dell’acqua dipende dall’elettricità, i sistemi di filtraggio. Non possiamo rimanere senza elettricità, gli strumenti negli ospedali non funzionano senza corrente”. A parlare è una nostra vecchia conoscenza, Osama al-Wafi, giornalista e portavoce del Sabha Medical Center che abbiamo più volte sentito per sapere cosa accade nell’estremo sud della Libia dimenticato da tutti.

Mentre i Paesi stranieri, in particolare Turchia, Cina, Russia e gli Stati del Golfo, fanno a gara a chi riesce ad inviare più armi, carichi di generatori eletterici non arrivano in Libia e il rischio di una strage a Sabha, e nel Fezzan in generale, è davvero concreto in questo momento in cui tutto il mondo sta combattendo il nuovo coronavirus (COVID-19). Senza elettricità, non c’è ossigeno. Non c’è acqua corrente per lavarsi le mani spesso come raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dalle autorità locali che hanno imposto il coprifuoco. Questa è la drammatica realtà.

Osama afferma che a Sabha il black-out è dovuto alla chiusura della pipe line nella centrale elettrica principale. “Noi nel sud della Libia paghiamo il prezzo più alto del conflitto, dipendendo al 100% dalle città costiere anche per le bottiglie d’acqua potabile, nonostante il Great Man Made River estragga l’acqua dal nostro sottosuolo”. Le misure restrittive, per prevenire la diffusione del virus nel Paese nordafricano, stanno inoltre riducendo alla povertà molte famiglie. Entrambi i Governi, nell’est e nell’ovest della Libia, continuano a non prestare attenzione ai bisogni della regione meridionale, se non per campagne mediatiche, ma questo stato di esclusione e marginalizzazione non è più affrontabile e potrebbe costare loro caro nel prossimo futuro.

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