La violenza riesplode a Tripoli

Di Vanessa Tomassini.

Dopo i movimenti delle milizie e le dichiarazioni rilasciate ieri dalla Settima Brigata Fanteria dei fratelli Al-Kaniat e dalla coalizione di gruppi armati a protezione della capitale, Tripoli Protection Force, questa mattina la violenza è riesplosa nella periferia sud della capitale libica. Nostre fonti ci hanno riferito di continue esplosioni e sparatorie nell’area di Qasir Ben Ghashir, dell’areoporto internazionale e del mercato domenicale; i civili raccontano di aver udito forti esplosioni ad Espiaa ed  Asbi’ha, lungo la strada principale che porta a Tarhouna. La Tripoli Protection Force si è mobilitata immediatamente, creando check point e chiudendo le strade periferiche, riuscendo a mantenere la calma nelle strade della capitale, almeno per il momento. Secondo il Ministero della Salute, il bilancio delle vittime, da questa mattina, è di 5 morti e 20 feriti. Il Ministero ha invitato le cliniche locali a prepararsi a ricevere i feriti e a schierare tutto il personale, nonchè a preparare i mezzi di primo soccorso per rispondere all’emergenza, in collaborazione con la Mezzaluna Rossa libica.

Le ragioni della discordia

Nel clima di reciproco scambio di accuse ed incertezza, sembrerebbe che le forze della capitale e la milizia Al-Kaniat si stiano contendendo l’Areoporto Internazionale. A tal proposito, il Ministero dell’Interno del Governo di Accordo Nazionale, Fathi Pashagha, il cui operato non è stato messo in discussione dal Consiglio presidenziale, ha dichiarato che l’areoporto è una struttura sovrana che non può e non deve essere sottoposta ad alcuna milizia. E’ interessante notare che i combattimenti sono iniziati in concomitanza con l’avvio della collaborazione con il Ministero dei Trasporti e delle Comunicazioni, e che solamente due giorni prima, l’areoporto è stato consegnato dalla sicurezza di Tarhouna alla Direzione della Sicurezza di Tripoli.

Tarhouna

Secondo membri delle milizie di Tripoli da noi sentiti, la partita in corso vedrebbe protagonisti la Settima Brigata al-Kaniat, ed altri gruppi provenienti da Tarhouna da un lato, e dall’altro alcuni gruppi di Zintan, oltre alla Tripoli Protection Force che include la Brigata dei Rivoluzionari (TRB), la sicurezza centrale di Abu Selim (Ghani), la brigata Alnawasi e le forze speciali di deterrenza (Kara). In questo contesto, il Consiglio comunale di Tarhouna ha deciso mercoledì pomeriggio di imporre un coprifuoco sulla città per 24 ore. Ha deciso inoltre, come si apprende dalla sua pagina Facebook, di interrompere il lavoro di scuole ed enti pubblici, saranno invece garantiti i servizi sanitari. Il Consiglio comunale ha spiegato che le misure introdotte sono state rese necessarie dagli attacchi di cui la città è vittima e dalle violazioni alla tregua, raggiunta a Zawia il 4 ottobre scorso, con la facilitazione delle Nazioni Unite.

I risvolti politici

Il Consiglio Presidenziale, guidato da Fayez al-Serraj, non ha esitato a prendere le difese del Ministero dell’Interno, sottolineando i passi importanti compiuti dal suo insediamento, avvenuto lo scorso ottobre.  Pashagha condannando gli scontri ha avvertito gli attori coinvolti che verrà presentato un report dettagliato al Consiglio Presidenziale. Anche la Settima Brigata ha confermato il suo sostegno al Ministero nell’imporre gli accordi di sicurezza ribadendo il suo impegno per la pace. Il gruppo di Tarhouna come ci aveva già anticipato in una intervista esclusiva, realizzata durante gli ultimi scontri a Tripoli, continua anche a sottolineare i vantaggi ottenuti dalle riforme economiche introdotte dal Consiglio Presidenziale, come a volerne rivendicare il merito. Si ricorderà che nell’ultima ondata di violenza 61 libici sono stati uccisi e 159 feriti.

Il Consiglio Presidenziale

Va ricordato che il presidente del Consiglio, Fayez al-Serraj, parlando ai microfoni del canale televisivo TRT Arabic, aveva accusato alcuni membri del gabinetto di presidenza di dare alito ai conflitti per ragioni ideologiche, politiche o personali, anzichè pensare al bene del Paese. Le accuse di Serraj giungevano dopo una lettera dei membri Ahmed Maiteeg, Fathi Al-Mijibri e Abdelsalam Kajman, in cui asserivano che Al-Serraj abbia avuto un approccio individuale e personale al processo decisionale su questioni vitali nel Paese. Il trio annunciava “calamità imminenti” che avrebbero portato il Paese al collasso. “Riteniamo Al-Serraj responsabile delle ripercussioni dell’imminente collasso del paese e delle sue istituzioni, che farebbero tornare la Libia sul tavolo da disegno”. Affermava la missiva, che di per sè non aggiunge nulla di nuovo a quanto già risaputo, ma palesa per la prima volta la divisione del Consiglio Presidenziale e l’inadeguatezza dei suoi componenti. La dichiarazione era giunta dopo la nomina di Sulaiman Al-Shanti a presidente dell’Autorità di controllo amministrativo.

 

Rispondi

Scopri di più da Speciale Libia

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading