Stati membri propongono centri di accoglienza fuori dall’UE. Ne parliamo con AbdulSalam Nasiyeh, rappresentante della Camera di Tobruk

Di Vanessa Tomassini.

Negli ultimi giorni quella dei migranti è diventata la preoccupazione maggiore per i Governi europei ed in particolare per l’Italia. Il Ministro degli Interni, Matteo Salvini, continua a sostenere la chiusura dei porti, mostrandosi sempre più intransigente verso le ONG, accusate di agevolare il lavoro dei trafficanti di esseri umani. Già lo scorso agosto, i “giovani identitari” della missione “Defend Europe”, sostenevano che fossero proprio alcune sigle umanitarie ad alimentare, seppure involontariamente, il traffico di esseri umani entrando in contatto addirittura nelle acque libiche con gli scafisti, tanto da portare la Libia a chiudere le proprie acque. La missione aveva dichiarato una vera e propria guerra alle ONG, ostacolando le loro operazioni dal vassello C-Star.

Il loro portavoce, Thorsten Schmidt, ci aveva spiegato: “La Libia è un Paese con una totale assenza di sicurezza, noi abbiamo diversi contatti nel Paese e quello che risulta è una situazione catastrofica in termini di sicurezza, dove i contrabbandieri e i trafficanti umani hanno reso la situazione ancora peggiore, e per interrompere questo, la creazione della SAR zone è stata un’ottima decisione. Il controllo dei propri confini nel Mediterraneo non solo contribuisce a fermare il traffico di umani, ma anche a rendere la Libia un posto più sicuro per il suo stesso popolo. Che una nazione controlli i propri confini è una cosa assolutamente regolare”.

Dopo quasi un anno da quella intervista, la situazione non sembra notevolmente cambiata e puntualmente, con l’inizio dell’estate, assistiamo ad un aumento dei viaggi sulla spaventosa rotta del Mediterraneo centrale verso le coste italiane. Negli ultimi giorni, dopo che la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha ammesso che “l’Italia è stata lasciata sola per troppo tempo” e dopo un momento di scontro con la Francia, ormai superato dopo la visita del primo ministro italiano, Giuseppe Conte, con il capo dell’Eliseo, Emmanuel Macron, a Parigi, gli stati membri sembrano voler trovare nuove soluzioni. Martedì 12 giugno il cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, parlando alla televisione di stato ORF ha ammesso che “sono in corso tentativi per creare centri di protezione al di fuori dell’Europa in cui si possono accogliere i rifugiati”. In un’intervista di Federico Fubini, pubblicata oggi dal Corriere della Sera, anche il neo-incaricato Ministro degli Esteri italiano, Moavero Milanesi, ha confermato l’esistenza di una proposta “di agire quanto più possibile nei Paesi d’origine e di transito, nel rispetto dei diritti umani e per contrastare questo orribile traffico di persone”. Il ministro Moavero ha spiegato che servono “centri di assistenza, informazione e protezione nei Paesi da cui si parte, se possibile, o nelle regioni adiacenti e nei Paesi di transito”.

Ma come potrebbe essere vista una tale proposta in un paese così frammentato come la Libia, già in difficoltà nella gestione di centri di detenzione migranti? Dopo aver sentito il comandante della Guardia Costiera di Tripoli la scorsa settimana, questa volta ci siamo rivolti ad un rappresentante della Camera di Tobruk, il presidente della Commissione Dialogo, AbdulSalem Nasiyeh.

“In primo luogo, consideriamo l’immigrazione come un fenomeno culturale e umano, che si è sempre verificato nella storia dell’umanità. Quello che sta accadendo ora è una migrazione non regolamentata dall’Africa meridionale al nord, che è il risultato dell’ingiustizia e del saccheggio dei beni del continente africano che ha costretto le persone a cercare nuovi modi di vita per recuperare le loro risorse naturali. Per sviluppare soluzioni appropriate è necessario uno sforzo comune e la cooperazione di tutti. È necessario supportare i Paesi africani nella creazione di posti di lavoro e sviluppo sostenibile, in secondo luogo, serve la cooperazione di tutti i paesi di destinazione e di transito per limitare tale migrazione ai confini settentrionali dei paesi di origine, piuttosto che nelle acque territoriali o ai confini meridionali dei paesi europei o negli Stati di transito. Infine mi permetta di sottolineare che bisogna smettere di utilizzare la questione dell’immigrazione nei conflitti politici tra Stati”.

-Come mai assistiamo ad un aumento degli sbarchi dalla Libia?

“Il recente aumento dei viaggi in mare è il risultato delle politiche perseguite dai paesi europei in Libia. L’incompatibilità regionale è la causa del caos e dell’assenza dello stato. Abbiamo sempre detto che la soluzione per la crisi libica è il ripristino dello Stato e che il ritardo in questa realizzazione si riflette e verrà pagato da tutti e su tutto. Purtroppo l’insistenza dei paesi della regione della Libia per ritardare il ripristino delle istituzioni, non aiutando il popolo libico e continuando a sostenere i partiti, per servire i loro ristretti interessi, incoraggia il prolungamento del disordine, con il diffondersi della corruzione, del terrorismo ed il proliferare di barconi dei migranti”.

-L’Europa sta considerando la possibilità di centri di accoglienza per i migranti fuori dal territorio UE. Come reagirebbero i libici di fronte a questa scelta?

“Sicuramente respingiamo ogni interferenza negli affari libici. La Libia ha le sue leggi che vietano l’immigrazione. Ha concluso accordi prima del 2011 con diversi paesi. Rispettiamo queste leggi e accordi che non possono essere toccati o discussi fino a quando non avverrà la costituzione dello Stato in Libia. Quando questo risultato verrà raggiunto, la Libia è parte del mondo e affronterà tutte le questioni con ogni responsabilità. Ora, in assenza dello Stato, parlare di questi problemi con la Libia, rappresenta solamente un tentativo di ricattare o attaccare la nostra sovranità nazionale. Quindi chi vuole confrontarsi con noi di fronte a questi problemi comuni deve prima aiutarci a rispristinare la situazione”.

“In ogni caso, questo tentativo verrà interpretato come un tentativo di insediare gli sfollati in Libia o una violazione della sovranità in queste difficili circostanze. Il paese ripristinerà prima la stabilità in Libia e poi coopererà e si occuperà di questi problemi come nazione, con diritti e obblighi internazionali”.

-Qual è l’attuale situazione dei centri di detenzione migranti in Libia?

“Non ho alcuna informazione su questi centri. Non possiamo parlare di centri di detenzione in assenza dello Stato. La disputa territoriale in Libia dovrebbe finire se i paesi europei vogliono veramente trovare una soluzione a questi problemi”.

-Cosa ne pensa della politica italiana in Libia e cosa suggerisce al nuovo Governo?

“Sfortunatamente, l’Italia non è riuscita a trattare la questione libica nel suo complesso e ciò si è riflesso su questo ed altri problemi. Per l’Italia è molto importante stabilizzare la Libia e ripristinare le istituzioni, ma sfortunatamente non abbiamo visto scelte dell’Italia andare in questa direzione, ma ciò che abbiamo notato è l’impazienza di concludere accordi con il nostro Paese e cercare di ottenere interessi speciali a scapito di interessi comuni a lungo termine. Il tentativo dell’Italia e di alcuni paesi europei di combattere l’immigrazione sulle coste libiche e di insediare gli sfollati in Libia non riuscirà, anzi esacerberà il problema, soprattutto in assenza di istituzioni legittime. È meglio per l’Italia aiutare i libici a ripristinare lo Stato, lavorando con noi per ridurre l’immigrazione dai paesi di origine e dai confini meridionali della Libia”.

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